Il titolo della mostra è al contempo sintesi e premessa di un intervento site specific che include installazione ambientale, scultura, disegni e dipinti, nonché il primo dichiarato indizio fornito dall’artista come possibile chiave di lettura in un intricato sistema di rimandi che regolano la posizione e il dialogo serrato dei lavori in mostra.
Fulcro dell’intervento sono due linee rosse posizionate a livello dell’orizzonte che l’osservatore è invitato a guardare attraverso un foro nel muro, oltre un sipario. Le linee corrispondono a fughe prospettiche ma la prospettiva è ribaltata e l’osservatore quindi si viene a trovare là dove le linee convergono, sul quel punto di fuga che tende all’infinito.
Le opere bidimensionali hanno un ruolo cruciale nel sottolineare le varie fasi di “attivazione” dell’installazione e i rapporti di forza che il punto di vista dell’osservatore costruisce muovendosi nello spazio. Un autoritratto del lato sinistro dell’artista replicato come una macchia di Rorschach è specchio di colui che guarda. L’unica asimmetria è l’occhio chiuso che invita a prendere posizione rispetto alla visione. Un altro disegno che ritrae tre coppie di occhi incastonati in una testa incappucciata svolge il ruolo del guardiano e segna la soglia da varcare per possedere il paesaggio oltre il sipario definito dalle due linee dell’orizzonte, un paesaggio composto da due disegni che ritraggono oltre una seconda cortina delle rovine di un tempio antico dove fa capolino la struttura razionale di un cubo. E ancora: lo spazio contenuto tra le linee tese che percorrono lo spazio espositivo diviene una scultura in scala. Ogni cosa prende forma in questo gioco delle parti e l’artista commenta le logiche dell’intervento:
“L’intento è quello di una mostra da vivere come esperienza, facendo in modo che ognuno mantenga il proprio punto di vista. Perché in questo modo si sta parlando: dei diversi punti di vista. A volta ribaltare qualcosa di non ribaltabile crea delle conseguenze. Questo luogo è dedicato a queste conseguenze, registrate e relazionate tra loro. Nella sostanza non si è definito un soggetto e su quello costruito una mostra, ma lavorato per avere un soggetto”.
Con il patrocinio e il contributo del Comune di Milano - Settore Tempo Libero
"Dopo aver proposto la ricerca di Sergio Breviario nell’ambito della collettiva Thin Line (2005), Viafarini è ora lieta di ospitare la sua prima personale: Diciannove Novantasei: mi edifico e ti guardo.
Il titolo della mostra è al contempo sintesi e premessa di un intervento site specific che include installazione ambientale, scultura, disegni e dipinti, nonché il primo dichiarato indizio fornito dall’artista come possibile chiave di lettura in un intricato sistema di rimandi che regolano la posizione e il dialogo serrato dei lavori in mostra.
Fulcro dell’intervento sono due linee rosse posizionate a livello dell’orizzonte che l’osservatore è invitato a guardare attraverso un foro nel muro, oltre un sipario. Le linee corrispondono a fughe prospettiche ma la prospettiva è ribaltata e l’osservatore quindi si viene a trovare là dove le linee convergono, sul quel punto di fuga che tende all’infinito
Le opere bidimensionali hanno un ruolo cruciale nel sottolineare le varie fasi di “attivazione” dell’installazione e i rapporti di forza che il punto di vista dell’osservatore costruisce muovendosi nello spazio. Un autoritratto del lato sinistro dell’artista replicato come una macchia di Rochaer è specchio di colui che guarda. L’unica asimmetria è l’occhio chiuso che invita a prendere posizione rispetto alla visione. Un altro disegno che ritrae tre coppie di occhi incastonati in una testa incappucciata svolge il ruolo del guardiano e segna la soglia da varcare per possedere il paesaggio oltre il sipario definito dalle due linee dell’orizzonte, un paesaggio composto da due disegni che ritraggono oltre una seconda cortina delle rovine di un tempio antico dove fa capolino la struttura razionale di un cubo. E ancora: lo spazio contenuto tra le linee tese che percorrono lo spazio espositivo diviene una scultura in scala. Ogni cosa prende forma in questo gioco delle parti e l’artista commenta le logiche dell’intervento.
L’intento è quello di una mostra da vivere come esperienza, facendo in modo che ognuno mantenga il proprio punto di vista. Perché in questo modo si sta parlando: dei diversi punti di vista. A volta ribaltare qualcosa di non ribaltabile crea delle conseguenze. Questo luogo è dedicato a queste conseguenze, registrate e relazionate tra loro. Nella sostanza non si è definito un soggetto e su quello costruito una mostra, ma lavorato per avere un soggetto”.
MIlovan Farronato
Il titolo della mostra è al contempo sintesi e premessa di un intervento site specific che include installazione ambientale, scultura, disegni e dipinti, nonché il primo dichiarato indizio fornito dall’artista come possibile chiave di lettura in un intricato sistema di rimandi che regolano la posizione e il dialogo serrato dei lavori in mostra.
Fulcro dell’intervento sono due linee rosse posizionate a livello dell’orizzonte che l’osservatore è invitato a guardare attraverso un foro nel muro, oltre un sipario. Le linee corrispondono a fughe prospettiche ma la prospettiva è ribaltata e l’osservatore quindi si viene a trovare là dove le linee convergono, sul quel punto di fuga che tende all’infinito.
Le opere bidimensionali hanno un ruolo cruciale nel sottolineare le varie fasi di “attivazione” dell’installazione e i rapporti di forza che il punto di vista dell’osservatore costruisce muovendosi nello spazio. Un autoritratto del lato sinistro dell’artista replicato come una macchia di Rorschach è specchio di colui che guarda. L’unica asimmetria è l’occhio chiuso che invita a prendere posizione rispetto alla visione. Un altro disegno che ritrae tre coppie di occhi incastonati in una testa incappucciata svolge il ruolo del guardiano e segna la soglia da varcare per possedere il paesaggio oltre il sipario definito dalle due linee dell’orizzonte, un paesaggio composto da due disegni che ritraggono oltre una seconda cortina delle rovine di un tempio antico dove fa capolino la struttura razionale di un cubo. E ancora: lo spazio contenuto tra le linee tese che percorrono lo spazio espositivo diviene una scultura in scala. Ogni cosa prende forma in questo gioco delle parti e l’artista commenta le logiche dell’intervento:
“L’intento è quello di una mostra da vivere come esperienza, facendo in modo che ognuno mantenga il proprio punto di vista. Perché in questo modo si sta parlando: dei diversi punti di vista. A volta ribaltare qualcosa di non ribaltabile crea delle conseguenze. Questo luogo è dedicato a queste conseguenze, registrate e relazionate tra loro. Nella sostanza non si è definito un soggetto e su quello costruito una mostra, ma lavorato per avere un soggetto”.
Con il patrocinio e il contributo del Comune di Milano - Settore Tempo Libero
"Dopo aver proposto la ricerca di Sergio Breviario nell’ambito della collettiva Thin Line (2005), Viafarini è ora lieta di ospitare la sua prima personale: Diciannove Novantasei: mi edifico e ti guardo.
Il titolo della mostra è al contempo sintesi e premessa di un intervento site specific che include installazione ambientale, scultura, disegni e dipinti, nonché il primo dichiarato indizio fornito dall’artista come possibile chiave di lettura in un intricato sistema di rimandi che regolano la posizione e il dialogo serrato dei lavori in mostra.
Fulcro dell’intervento sono due linee rosse posizionate a livello dell’orizzonte che l’osservatore è invitato a guardare attraverso un foro nel muro, oltre un sipario. Le linee corrispondono a fughe prospettiche ma la prospettiva è ribaltata e l’osservatore quindi si viene a trovare là dove le linee convergono, sul quel punto di fuga che tende all’infinito
Le opere bidimensionali hanno un ruolo cruciale nel sottolineare le varie fasi di “attivazione” dell’installazione e i rapporti di forza che il punto di vista dell’osservatore costruisce muovendosi nello spazio. Un autoritratto del lato sinistro dell’artista replicato come una macchia di Rochaer è specchio di colui che guarda. L’unica asimmetria è l’occhio chiuso che invita a prendere posizione rispetto alla visione. Un altro disegno che ritrae tre coppie di occhi incastonati in una testa incappucciata svolge il ruolo del guardiano e segna la soglia da varcare per possedere il paesaggio oltre il sipario definito dalle due linee dell’orizzonte, un paesaggio composto da due disegni che ritraggono oltre una seconda cortina delle rovine di un tempio antico dove fa capolino la struttura razionale di un cubo. E ancora: lo spazio contenuto tra le linee tese che percorrono lo spazio espositivo diviene una scultura in scala. Ogni cosa prende forma in questo gioco delle parti e l’artista commenta le logiche dell’intervento.
L’intento è quello di una mostra da vivere come esperienza, facendo in modo che ognuno mantenga il proprio punto di vista. Perché in questo modo si sta parlando: dei diversi punti di vista. A volta ribaltare qualcosa di non ribaltabile crea delle conseguenze. Questo luogo è dedicato a queste conseguenze, registrate e relazionate tra loro. Nella sostanza non si è definito un soggetto e su quello costruito una mostra, ma lavorato per avere un soggetto”.
MIlovan Farronato
Veduta dell'installazione.
Per costruire la mostra è stato necessario dividere lo spazio con una parete in cartongesso.
Veduta dell'installazione
"Gino sinistro in versione monoculare"
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