Intercultura - Capitolo 1 Modou Gueye

Era una delle faticose assemblee della macchinosa associazione che consociava le realtà del luogo: La Fabbrica del Vapore.
Esse davano origine a momenti ripetitivi, ciclici, irritanti, non all’altezza delle dignitose realtà della vita culturale milanese che vi abitavano. Era durante uno di questi momenti, agli inizi del 2013, che Patty proferì delle parole pesanti, in risposta a qualcuno; poteva essere stato lui, Modou, a uscirsene con una frase ingenua, o forse era qualcun altro. Fatto sta che Patty dichiarò che aveva quasi due lauree e non intendeva ascoltare simili stupidaggini. Che errore, offendere il prossimo vantandosi di se stessi, questo atteggiamento troppo diretto, quasi aggressivo. Lui allora, Modou, si alzò imprecando e uscì dalla stanza, e Patty lo seguì fin sull’ascensore, aspettò che le porte si richiudessero, e chiese scusa. Era dispiaciuta per aver esagerato e provava vergogna per aver urtato la sensibilità di Modou. Disse forte che le dispiaceva e notò l’espressione di Modou trasformarsi, la sua rabbia diventava aspettativa.
Vide che Modou era bello, e provò tenerezza. In realtà sapeva già che Modou piaceva: lo conosceva da qualche anno, e quando lo aveva incontrato la prima volta, aveva pensato che era proprio una persona straordinaria. Che era in gamba, probabilmente perché raccontava le cose che lo riguardavano in modo convincente. Veniva dal Senegal, “cantava e ballava”, come amava ripetere, e si adoperava nella intercultura.

Strana disciplina, l’intercultura. Un pò una fede, un mestiere, una necessita’. Certamente provoca delle forzature, e tanti adepti, soprattutto femmine, che sono più idealiste, ma anche i maschi devono darsi da fare. Certo che l’intercultura è qualcosa di indiscutibilmente giusto e necessario, e Modou svolgeva la sua parte con convinzione, competenza ed equilibrio, e poiché aveva anche esperienze di attore, la recitava molto bene. Era proprio immerso nelle sue ragioni e aveva una fede incrollabile in sé stesso. Esprimeva delle idee giuste. Ora in Italia sono diventate di dibattito pubblico, in Europa sono un tema divisivo costante, ma allora, all’inizio degli anni ‘90 in Italia, erano in pochissimi ad averne fatto motivo di presa di coscienza culturale, oserei dire motivo di vita. Se poi si considera che Modou era arrivato in Italia all’inizio degli anni ‘90, tra i primi immigrati africani, si capisce che aveva vissuto in anteprima l’odissea della difficile vita dell’immigrato di colore negli ultimi 30 anni in Europa. Perché Modou era Senegalese, proprio nero nero, Tuareg di origini, di quella bellezza che è propria di quella etnia. Sicuramente il fascino di questa bellezza avrà fatto presa su Patty, in quell’ascensore, ma c’era anche un po’ di senso di colpa, di vergogna, e si pentiva per essere stata arrogante. Si vergognava dei suoi privilegi? Sicuramente ammirava quel ragazzone che dimostrava molto meno dei suoi anni, e anche se non sapeva molto di lui, capiva che era in gamba e che quello che diceva aveva un senso. Che parlava di una distanza, che chiamava intercultura, che le pareva enorme, e incolmabile. Comunque lo seguì nell’ascensore e si lasciò incantare dal suo sguardo. Sicuramente Modou capì che poteva incantarla, ma nemmeno aveva bisogno di capirlo, lo sapeva già, era un’arte che gli riusciva bene, l’aveva imparata sulle spiagge vendendo agli italiani, povero ragazzo intelligente e intraprendente ritrovatosi in Italia a vendere accendini. È un mestiere che insegna molto dell’altro, della possibilità di creare una sintonia. Patty per esempio era destinata a venire prescelta dai vucumpra’. Si vede che qualcosa era scritto nella sua espressione. Comunque era inconcepibile che delle povere persone fossero costrette all’accattonaggio, a sfoderare grandiosi sorrisi, a ringraziare, fare complimenti. Essere un bravo venditore era qualcosa di diverso, era essere un po’ psicologo, un po’ attore, un po’ disperato. Dopo l’ascensore, una nuova predisposizione deve essersi accesa in Patty, nonostante lo conoscesse già da parecchio.

Intercultura - Capitolo 1 Modou Gueye


Era una delle faticose assemblee della macchinosa associazione che consociava le realtà del luogo: La Fabbrica del Vapore.
Esse davano origine a momenti ripetitivi, ciclici, irritanti, non all’altezza delle dignitose realtà della vita culturale milanese che vi abitavano. Era durante uno di questi momenti, agli inizi del 2013, che Patty proferì delle parole pesanti, in risposta a qualcuno; poteva essere stato lui, Modou, a uscirsene con una frase ingenua, o forse era qualcun altro. Fatto sta che Patty dichiarò che aveva quasi due lauree e non intendeva ascoltare simili stupidaggini. Che errore, offendere il prossimo vantandosi di se stessi, questo atteggiamento troppo diretto, quasi aggressivo. Lui allora, Modou, si alzò imprecando e uscì dalla stanza, e Patty lo seguì fin sull’ascensore, aspettò che le porte si richiudessero, e chiese scusa. Era dispiaciuta per aver esagerato e provava vergogna per aver urtato la sensibilità di Modou. Disse forte che le dispiaceva e notò l’espressione di Modou trasformarsi, la sua rabbia diventava aspettativa.
Vide che Modou era bello, e provò tenerezza. In realtà sapeva già che Modou piaceva: lo conosceva da qualche anno, e quando lo aveva incontrato la prima volta, aveva pensato che era proprio una persona straordinaria. Che era in gamba, probabilmente perché raccontava le cose che lo riguardavano in modo convincente. Veniva dal Senegal, “cantava e ballava”, come amava ripetere, e si adoperava nella intercultura.

Strana disciplina, l’intercultura. Un pò una fede, un mestiere, una necessita’. Certamente provoca delle forzature, e tanti adepti, soprattutto femmine, che sono più idealiste, ma anche i maschi devono darsi da fare. Certo che l’intercultura è qualcosa di indiscutibilmente giusto e necessario, e Modou svolgeva la sua parte con convinzione, competenza ed equilibrio, e poiché aveva anche esperienze di attore, la recitava molto bene. Era proprio immerso nelle sue ragioni e aveva una fede incrollabile in sé stesso. Esprimeva delle idee giuste. Ora in Italia sono diventate di dibattito pubblico, in Europa sono un tema divisivo costante, ma allora, all’inizio degli anni ‘90 in Italia, erano in pochissimi ad averne fatto motivo di presa di coscienza culturale, oserei dire motivo di vita. Se poi si considera che Modou era arrivato in Italia all’inizio degli anni ‘90, tra i primi immigrati africani, si capisce che aveva vissuto in anteprima l’odissea della difficile vita dell’immigrato di colore negli ultimi 30 anni in Europa. Perché Modou era Senegalese, proprio nero nero, Tuareg di origini, di quella bellezza che è propria di quella etnia. Sicuramente il fascino di questa bellezza avrà fatto presa su Patty, in quell’ascensore, ma c’era anche un po’ di senso di colpa, di vergogna, e si pentiva per essere stata arrogante. Si vergognava dei suoi privilegi? Sicuramente ammirava quel ragazzone che dimostrava molto meno dei suoi anni, e anche se non sapeva molto di lui, capiva che era in gamba e che quello che diceva aveva un senso. Che parlava di una distanza, che chiamava intercultura, che le pareva enorme, e incolmabile. Comunque lo seguì nell’ascensore e si lasciò incantare dal suo sguardo. Sicuramente Modou capì che poteva incantarla, ma nemmeno aveva bisogno di capirlo, lo sapeva già, era un’arte che gli riusciva bene, l’aveva imparata sulle spiagge vendendo agli italiani, povero ragazzo intelligente e intraprendente ritrovatosi in Italia a vendere accendini. È un mestiere che insegna molto dell’altro, della possibilità di creare una sintonia. Patty per esempio era destinata a venire prescelta dai vucumpra’. Si vede che qualcosa era scritto nella sua espressione. Comunque era inconcepibile che delle povere persone fossero costrette all’accattonaggio, a sfoderare grandiosi sorrisi, a ringraziare, fare complimenti. Essere un bravo venditore era qualcosa di diverso, era essere un po’ psicologo, un po’ attore, un po’ disperato. Dopo l’ascensore, una nuova predisposizione deve essersi accesa in Patty, nonostante lo conoscesse già da parecchio.

Assemblea dell'associazione FdVlab.
Sa sinistra: Giorgio Reali, Lisa Farmer, Ranuccio Sodi, Paolo Righetti, Alessandro Nassiri.

Modou con Letizia Moratti.

Modou Gueye con il Ministro della Cultura del Senegal, 2013.

"Correre per non scapppare, l'incontro di tre destini", regia di Giorgio Putzolu, 2018.

"Lo Strappo - il racconto di un rifugiato" di Modou Gueye
Associazione SUNUGAL ITALIA.
Permesso di soggiorno #3 - intervista a Modou Gueye.
avoicomunicare.