VIR Viafarini-in-residence, Open Studio

settembre - ottobre 2012

 

Cecilie Hjelvik Andersen, Graziano Folata, Cristobal Gracia, Simone Longaretti, Francesc Ruiz

Il primo Open Studio della nuova stagione della residenza VIR Viafarini-in-residence presenta le sedimentazioni delle ricerche di cinque artisti: Cecilie Hjelvik Andersen, Graziano Folata e Simone Longaretti sono stati selezionati dai curatori tra gli artisti partecipanti alle prime tre mostre collettive del ciclo Academy Awards.

L'invito rivolto all'artista messicano Cristobal Gracia nasce invece dalla collaborazione istituita con l'organizzazione SOMA fondata a Città del Messico nel 2009. Infine Viafarini ha invitato l'artista spagnolo Francesc Ruiz, con il supporto di Matadero, Madrid.

VIR Viafarini-in-residence è sviluppato in collaborazione con il Ministero per i beni e le attività culturali, Direzione generale per il paesaggio, le belle arti, l'architettura e l'arte contemporanee. Con il contributo di Fondazione Cariplo e di Gemmo spa, partner istituzionale di Viafarini.

Al centro della grande sala di VIR una porzione di territorio gelido e disertato si dipana nello spazio. Questo è il risultato della minuziosa attività di Cecilie Hjelvik Andersen che, strato dopo strato, ha dato vita ad un paesaggio mentale, riferito solo analogicamente alle caratteristiche visive dell’Antartide. La posta in gioco dell’istallazione, integrata alla superficialità del suolo, è un ossimoro: una tensione ed un’antitesi tra l’aspetto estetico dell’opera ed il segreto della sua produzione. Sciogliendo candele di cera bianca e filtrandole con fitte maglie di metallo, Hjelvik Andersen crea l’impressione di una materialità fredda ottenuta però con un metodo intuitivo di fusione a caldo. Se la prima versione di questo lavoro si concentrava sulla magica liquidità del suono della cera colata che pioveva sul pavimento, la seconda versione presentata a VIR propone la formulazione di un immaginario geografico nuovo e mutevole. Il candore di questo paesaggio glaciale è una soluzione transitoria, non risolutiva ed aperta alla riconfigurazione: attraversare questo territorio, incrinarlo, manipolarlo o addirittura distruggerlo è per Hjelvik Andersen una nuova possibilità di lettura.

“Il mondo si dà come fenomeno estetico”. Ecco il sottotesto nietzscheano che sostiene e motiva il lavoro scultoreo di Graziano Folata: al suolo ed appoggiati alle pareti, una schiera di sottili moduli materici ed insistite ripetizioni d’equilibri che cercano di trattenere nel campo della visione l’emersione istantanea di un nucleo poetico. I vari agglomerati “migranti” che Folata presenta – ognuno segnato da un tono di temporalità diverso - chiedono agli elementi di partenza di smettere d’essere oggetti, per accedere a un nuovo significato simbolico e a una nuova finalità interna. Nella coazione e nell’attrito di fattori diversi si gioca per Folata l’insorgenza dell’immagine, il modo in cui essa resiste al tempo e transita, esitante, in un luogo fisico. L’apertura dello studio rivela una serie d’intuizioni scultoree che hanno preso corpo, in modo istantaneo e puntuale, sullo sfondo di una riflessione lenta e continua.

I due mesi di residenza in VIR hanno rappresentato per Simone Longaretti un vero e proprio ritorno, per un periodo limitato ed in condizioni stranianti, alla ceramica artigianale. Due mesi in cui la volontà di piegare un mezzo e la sua operatività a fini installativi si è misurata con un sistema di resistenze, adeguazioni ed aggiustamenti continui. L’oggetto scultoreo “Momentanea permanenza” è dunque il distillato di una riflessione sull’operare artistico e sulla sua processualità: una serie di cotture bianche in terraglia raccontano l’esplicazione di un gesto – la reiterazione della filettatura a pennello – e la sua esecuzione sempre imperfetta e mai “consona”. La difficoltà di controllare la goccia con mano ferma, il difficile equilibrio nella densità dell’inchiostro, l’incertezza della centratura del segno testimoniano dell’emersione del dubbio nella reiterazione di un’azione semplice e dell’impossibile precisione della serialità automatizzata. Un piccolo breviario sulla condanna alle ossessioni e sull’impossibilità di sottrarsi al lavoro che prolungano la riflessione di Longaretti sui rapporti entropici.

Sul crocevia dei transiti culturali tra Los Angeles e Mexico City ed affascinato dal sottotesto concettuale (e non solo dall’esito formale) del lavoro di Paul McCarthy, Mike Kelly e Raymond Pettibond, Cristobal Gracia illustra il black dream insito nella mitologia americana "pompata" dalla cultura dei media. Il suo posizionamento critico si fa con una grande onestà nei confronti del materiale utilizzato, a cui lascia spazio per esplodere e con il quale glossa, in modo molto diretto, i contrasti dell’economia sociale attuale. Con una scultura su piedistallo vandalizzata, Gracia cerca di sbarazzarsi dell’idea monolitica ed ideologica del monumento e dell’alone di purezza che le è connessa. Una seconda installazione diventa il terreno di gioco per il remake di un’azione passata, una sorta di scena del crimine dall’artificialismo estremo, dove il falso è talmente evidente che rischia di diventare vero. Nonostante, ad un’osservazione più attenta, emerga una ricostruzione che non segue la logica della situazione che sta cercando di ricostruire. Un’attività di disegno eterogenea, disseminata nella sala espositiva, assolve la funzione di propedeutica al lavoro, mentre una pittura viscerale sostituisce alla tela una versione trash delle insegne medievali, simbolo d’onore ed insieme di decadenza).

Nell’occasione dell’open studio, l’artista spagnolo Francesc Ruiz, attualmente ospite in VIR per una mese di ricerca finalizzato alla realizzazione di un progetto presso Matadero di Madrid, presenterà i risultati intermedi della sua indagine milanese sul fumetto erotico Sukia. Ispezionando le butades sessiste ed omofobiche presenti nel sottotesto della grafica main stream degli anni Settanta, Ruiz riattiva un simbolo della sottocultura italiana creato da Renzo Barbieri 35 anni fa e poi tradotto e distribuito in Olanda, Francia, Spagna ed America Latina.

VIR Viafarini-in-residence, Open Studio

settembre - ottobre 2012

 

Cecilie Hjelvik Andersen, Graziano Folata, Cristobal Gracia, Simone Longaretti, Francesc Ruiz

Il primo Open Studio della nuova stagione della residenza VIR Viafarini-in-residence presenta le sedimentazioni delle ricerche di cinque artisti: Cecilie Hjelvik Andersen, Graziano Folata e Simone Longaretti sono stati selezionati dai curatori tra gli artisti partecipanti alle prime tre mostre collettive del ciclo Academy Awards.

L'invito rivolto all'artista messicano Cristobal Gracia nasce invece dalla collaborazione istituita con l'organizzazione SOMA fondata a Città del Messico nel 2009. Infine Viafarini ha invitato l'artista spagnolo Francesc Ruiz, con il supporto di Matadero, Madrid.

VIR Viafarini-in-residence è sviluppato in collaborazione con il Ministero per i beni e le attività culturali, Direzione generale per il paesaggio, le belle arti, l'architettura e l'arte contemporanee. Con il contributo di Fondazione Cariplo e di Gemmo spa, partner istituzionale di Viafarini.

Al centro della grande sala di VIR una porzione di territorio gelido e disertato si dipana nello spazio. Questo è il risultato della minuziosa attività di Cecilie Hjelvik Andersen che, strato dopo strato, ha dato vita ad un paesaggio mentale, riferito solo analogicamente alle caratteristiche visive dell’Antartide. La posta in gioco dell’istallazione, integrata alla superficialità del suolo, è un ossimoro: una tensione ed un’antitesi tra l’aspetto estetico dell’opera ed il segreto della sua produzione. Sciogliendo candele di cera bianca e filtrandole con fitte maglie di metallo, Hjelvik Andersen crea l’impressione di una materialità fredda ottenuta però con un metodo intuitivo di fusione a caldo. Se la prima versione di questo lavoro si concentrava sulla magica liquidità del suono della cera colata che pioveva sul pavimento, la seconda versione presentata a VIR propone la formulazione di un immaginario geografico nuovo e mutevole. Il candore di questo paesaggio glaciale è una soluzione transitoria, non risolutiva ed aperta alla riconfigurazione: attraversare questo territorio, incrinarlo, manipolarlo o addirittura distruggerlo è per Hjelvik Andersen una nuova possibilità di lettura.

“Il mondo si dà come fenomeno estetico”. Ecco il sottotesto nietzscheano che sostiene e motiva il lavoro scultoreo di Graziano Folata: al suolo ed appoggiati alle pareti, una schiera di sottili moduli materici ed insistite ripetizioni d’equilibri che cercano di trattenere nel campo della visione l’emersione istantanea di un nucleo poetico. I vari agglomerati “migranti” che Folata presenta – ognuno segnato da un tono di temporalità diverso - chiedono agli elementi di partenza di smettere d’essere oggetti, per accedere a un nuovo significato simbolico e a una nuova finalità interna. Nella coazione e nell’attrito di fattori diversi si gioca per Folata l’insorgenza dell’immagine, il modo in cui essa resiste al tempo e transita, esitante, in un luogo fisico. L’apertura dello studio rivela una serie d’intuizioni scultoree che hanno preso corpo, in modo istantaneo e puntuale, sullo sfondo di una riflessione lenta e continua.

I due mesi di residenza in VIR hanno rappresentato per Simone Longaretti un vero e proprio ritorno, per un periodo limitato ed in condizioni stranianti, alla ceramica artigianale. Due mesi in cui la volontà di piegare un mezzo e la sua operatività a fini installativi si è misurata con un sistema di resistenze, adeguazioni ed aggiustamenti continui. L’oggetto scultoreo “Momentanea permanenza” è dunque il distillato di una riflessione sull’operare artistico e sulla sua processualità: una serie di cotture bianche in terraglia raccontano l’esplicazione di un gesto – la reiterazione della filettatura a pennello – e la sua esecuzione sempre imperfetta e mai “consona”. La difficoltà di controllare la goccia con mano ferma, il difficile equilibrio nella densità dell’inchiostro, l’incertezza della centratura del segno testimoniano dell’emersione del dubbio nella reiterazione di un’azione semplice e dell’impossibile precisione della serialità automatizzata. Un piccolo breviario sulla condanna alle ossessioni e sull’impossibilità di sottrarsi al lavoro che prolungano la riflessione di Longaretti sui rapporti entropici.

Sul crocevia dei transiti culturali tra Los Angeles e Mexico City ed affascinato dal sottotesto concettuale (e non solo dall’esito formale) del lavoro di Paul McCarthy, Mike Kelly e Raymond Pettibond, Cristobal Gracia illustra il black dream insito nella mitologia americana "pompata" dalla cultura dei media. Il suo posizionamento critico si fa con una grande onestà nei confronti del materiale utilizzato, a cui lascia spazio per esplodere e con il quale glossa, in modo molto diretto, i contrasti dell’economia sociale attuale. Con una scultura su piedistallo vandalizzata, Gracia cerca di sbarazzarsi dell’idea monolitica ed ideologica del monumento e dell’alone di purezza che le è connessa. Una seconda installazione diventa il terreno di gioco per il remake di un’azione passata, una sorta di scena del crimine dall’artificialismo estremo, dove il falso è talmente evidente che rischia di diventare vero. Nonostante, ad un’osservazione più attenta, emerga una ricostruzione che non segue la logica della situazione che sta cercando di ricostruire. Un’attività di disegno eterogenea, disseminata nella sala espositiva, assolve la funzione di propedeutica al lavoro, mentre una pittura viscerale sostituisce alla tela una versione trash delle insegne medievali, simbolo d’onore ed insieme di decadenza).

Nell’occasione dell’open studio, l’artista spagnolo Francesc Ruiz, attualmente ospite in VIR per una mese di ricerca finalizzato alla realizzazione di un progetto presso Matadero di Madrid, presenterà i risultati intermedi della sua indagine milanese sul fumetto erotico Sukia. Ispezionando le butades sessiste ed omofobiche presenti nel sottotesto della grafica main stream degli anni Settanta, Ruiz riattiva un simbolo della sottocultura italiana creato da Renzo Barbieri 35 anni fa e poi tradotto e distribuito in Olanda, Francia, Spagna ed America Latina.

Veduta dell’installazione.
Foto di Davide Tremolada

Cecilie Hjelvik Andersen.
Foto di Davide Tremolada

Cecilie Hjelvik Andersen.
Foto di Davide Tremolada

Immagine chiave di Graziano Folata, "Black Star"

Graziano Folata.
Foto di Davide Tremolada

Simone Longaretti.
Foto di Davide Tremolada

Cristobal Gracia.
Foto di Davide Tremolada