Per la prima volta in mostra a Viafarini i vincitori della quinta edizione del Premio Stonefly Cammina con l'Arte, promosso dalla Fondazione Bevilacqua La Masa, storica istituzione veneziana e punto di vista privilegiato delle esperienze artistiche più interessanti del Triveneto, e Stonefly, azienda italiana leader nella produzione di calzature ad alto contenuto di innovazione.
Attraverso un modello di partnership tra arte e impresa in continua evoluzione e volto a conferire al premio un ruolo sempre più qualificante e distintivo, i giovani artisti in residenza presso la Fondazione Bevilacqua La Masa sono stati invitati a confrontarsi con le dinamiche produttive e le attività che si svolgono nell'azienda, interpretando attraverso la propria ricerca gli stimoli derivanti dalle sperimentazioni materiali, dalle relazioni tra i lavoratori, dalle modalità di comunicazione e scelte strategiche.
Stonefly ha infatti aperto le proprie porte alla curiosità degli artisti, chiamandoli a riconsiderare, dal loro punto di vista, il progetto Second Skin: la calzatura risultato di una lunga ricerca tecnologica che per morbidezza, comodità, leggerezza, diviene per il piede una vera “seconda pelle”. Gli artisti hanno quindi immaginato, seguendo la propria attitudine e secondo le tecniche a loro più confacenti, la materializzazione di una seconda pelle, traslando e ampliando i contenuti di questa innovativa collezione.
A Milano saranno presentate al pubblico le opere di Caterina Erica Shanta (nata Landsthul, Germania, classe 1986), vincitrice del premio acquisto e produzione con l'opera Toccare senza vedere, vedere senza toccare, e del duo Graziano Meneghin e Jacopo Trabona, cui è stato attribuito un secondo riconoscimento per The Black square/La macchina per vedere ciò che c’è.
Caterina Erica Shanta ha vinto il progetto Stonefly Cammina con l'arte 2014 “Another second skin” con il progetto Toccare senza vedere, vedere senza toccare, un video che racconta e interpreta con la specificità del linguaggio video la manualità in fabbrica.
Il gesto dell’uomo, nella fabbrica, non è più orientato verso un altro soggetto, ma allo strumento, alla macchina e da esso dipende il risultato materiale della cosa prodotta.
Tra gli individui della fabbrica il lavoro sussiste in temporalità differenti e compresenti, ma scisse le une dalle altre. Utilizzo del montaggio video permette di adattarsi alla temporalità variabile del lavoro e di ricomporre azioni distinte ma senza narratività. Perciò il montaggio video del film registra affinità e contraddizioni tra gesti, piuttosto che una narrazione lineare basata sulla classica visione della fabbrica.
Il medium video diviene strumento di conoscenza, di apprendimento e di relazione empatica dove pelle elettronica e pelle organica si avvicinano e si sovrappongono, ma alla fine non coincidono e l'immagine diviene sintomo di una relazione mancata.
Un libretto sarà visibile e consultabile vicino alla proiezione con le fotografie che documentano l'attività di Shanta nella fabbrica. In questo modo l'artista si mostra dentro gli spazi e vicino alle azioni che va indagando, cercando così di togliere retorica e autorialità al suo lavoro mostrandosi parte di un processo che cerca di fondere la prassi artistica con l'azione meccanica artigianale degli operai ripresi.
Caterina Erica Shanta
Nasce a Landstuhl in Germania nel 1986. Consegue la laurea triennale in Arti visive e dello spettacolo e, proseguendo gli studi per la laurea magistrale in Arti Visive presso l'università IUAV di Venezia, realizza due documentari (è troppo vicino per mettere a fuoco, con Valeria Marchesini, 2012; Nel mio riflesso il tuo movimento, con Dalila Missero, 2013). Con questi viene selezionata in diversi concorsi tra cui il Ca' Foscari International Short Film Festival, Euganea Film Festival e Documentamy. Da allora, attraverso una ricerca d'archivio e tradizioni orali, cerca di indagare la capacità delle immagini nel costituire Storia, memoria e ricordi. Per la Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia realizza Sogni (2015), un documentario sulla seconda guerra mondiale a Venezia. Con questo l'artista ha voluto indagare quella particolare realtà cinematografica che si è venuta a costituire nei padiglioni dei giardini della Biennale tra il 1943 ed il 1945. Il "cinevillaggio" veneziano incarnava il sogno cinematografico della Repubblica di Salò mentre fuori, nelle isole ed in terraferma, c'erano la guerra, gli allarmi antiaerei, i bombardamenti.
Il documentario per Caterina è lo strumento privilegiato per indagare i linguaggi del cinema e dell'arte, con approccio critico rispetto la visibilità dei materiali, di come essi divengano filtro rispetto alla percezione del reale e la sua manipolazione.
Continua inoltre la sua esperienza critica scrivendo per portali di cinema e arti visive.
Graziano Meneghin e Jacopo Trabona per Another second skin, fingono il ritrovamento di “The Black Square” di Jack Milanese, romanzo di fantascienza fittizio da loro scritto rispettando le caratteristiche che erano tipiche del genere nel 1967 (anno in cui ne immaginano aver avuto luogo la pubblicazione) e producono una serie di artefatti in diversi media che ne attestino l’esistenza e la riscoperta negli anni successivi.
Nel romanzo il protagonista dopo aver trascorso diverso tempo in una grotta, cercando di imparare a “dipingere il buio attraverso il buio”, esce e trova una New York sommersa da uno strato di Vanta Black, un materiale nero che la rende bidimensionale agli occhi della gente. Questo fenomeno è dovuto ad un cataclisma ambientale che porta alla produzione di piccoli detriti di polvere nera. In qualità di artista abituato al buio, riesce a vedere quello che gli abitanti della terra non riescono più a vedere, la seconda pelle della realtà che alla fine è la realtà stessa.
Nello specifico, elementi direttamente ispirati alla trama come la Macchina per vedere ciò che c’è – strumento utilizzato dal protagonista che in mostra prende la forma di un modellino componibile uscito in edicola nel 2000 – sono affiancati da altri, come la pagina Wikipedia dell’autore, che esemplificano eventi verificatisi al di fuori del guscio narrativo, ma all’interno di quello della storia recente.
Graziano Meneghin e Jacopo Trabona
Sono nati rispettivamente nel 1982 e nel 1989. Mentre la pratica di Trabona indaga la relazione che esiste tra astrazione e realtà, segno e significazione, con importanti riferimenti all'oggettualità contemporanea, Meneghin, nelle sue performance, connette diversi topoi presenti nel proprio lavoro, quali il limite, l'errore, la delega, l'apprendimento e il fallimento. Dopo aver partecipato individualmente a diverse esposizioni di livello internazionale (si ricorda in tal senso la partecipazione di Meneghin, borsista alla 97ma Collettiva Giovani Artisti Bevilacqua la Masa, ad Art Stays 2013 a Ptuj in Slovenia, e di Trabona a Yicca, presso la Factory Art Gallery di Berlino nel 2011, e a Open Cube, presso White Cube a Londra nel 2013) decidono di unire i propri percorsi in Tutto ciò che qui c’è, lo si può trovare anche altrove; ma ciò che qui non si trova, non esiste in nessun luogo, un progetto dove costruiscono una serie di simulazioni di mostre legate alla codifica dei diversi stilemi dell'arte contemporanea. L’utilizzo di figure fittizie, impersonate da artisti immaginari che agiscono all’interno del loro studio, diviene mezzo per elaborare una narrativa personale che, in maniera parassitaria, riformulare presupposti teorici e formali già strutturalmente consolidati.
Per la prima volta in mostra a Viafarini i vincitori della quinta edizione del Premio Stonefly Cammina con l'Arte, promosso dalla Fondazione Bevilacqua La Masa, storica istituzione veneziana e punto di vista privilegiato delle esperienze artistiche più interessanti del Triveneto, e Stonefly, azienda italiana leader nella produzione di calzature ad alto contenuto di innovazione.
Attraverso un modello di partnership tra arte e impresa in continua evoluzione e volto a conferire al premio un ruolo sempre più qualificante e distintivo, i giovani artisti in residenza presso la Fondazione Bevilacqua La Masa sono stati invitati a confrontarsi con le dinamiche produttive e le attività che si svolgono nell'azienda, interpretando attraverso la propria ricerca gli stimoli derivanti dalle sperimentazioni materiali, dalle relazioni tra i lavoratori, dalle modalità di comunicazione e scelte strategiche.
Stonefly ha infatti aperto le proprie porte alla curiosità degli artisti, chiamandoli a riconsiderare, dal loro punto di vista, il progetto Second Skin: la calzatura risultato di una lunga ricerca tecnologica che per morbidezza, comodità, leggerezza, diviene per il piede una vera “seconda pelle”. Gli artisti hanno quindi immaginato, seguendo la propria attitudine e secondo le tecniche a loro più confacenti, la materializzazione di una seconda pelle, traslando e ampliando i contenuti di questa innovativa collezione.
A Milano saranno presentate al pubblico le opere di Caterina Erica Shanta (nata Landsthul, Germania, classe 1986), vincitrice del premio acquisto e produzione con l'opera Toccare senza vedere, vedere senza toccare, e del duo Graziano Meneghin e Jacopo Trabona, cui è stato attribuito un secondo riconoscimento per The Black square/La macchina per vedere ciò che c’è.
Caterina Erica Shanta ha vinto il progetto Stonefly Cammina con l'arte 2014 “Another second skin” con il progetto Toccare senza vedere, vedere senza toccare, un video che racconta e interpreta con la specificità del linguaggio video la manualità in fabbrica.
Il gesto dell’uomo, nella fabbrica, non è più orientato verso un altro soggetto, ma allo strumento, alla macchina e da esso dipende il risultato materiale della cosa prodotta.
Tra gli individui della fabbrica il lavoro sussiste in temporalità differenti e compresenti, ma scisse le une dalle altre. Utilizzo del montaggio video permette di adattarsi alla temporalità variabile del lavoro e di ricomporre azioni distinte ma senza narratività. Perciò il montaggio video del film registra affinità e contraddizioni tra gesti, piuttosto che una narrazione lineare basata sulla classica visione della fabbrica.
Il medium video diviene strumento di conoscenza, di apprendimento e di relazione empatica dove pelle elettronica e pelle organica si avvicinano e si sovrappongono, ma alla fine non coincidono e l'immagine diviene sintomo di una relazione mancata.
Un libretto sarà visibile e consultabile vicino alla proiezione con le fotografie che documentano l'attività di Shanta nella fabbrica. In questo modo l'artista si mostra dentro gli spazi e vicino alle azioni che va indagando, cercando così di togliere retorica e autorialità al suo lavoro mostrandosi parte di un processo che cerca di fondere la prassi artistica con l'azione meccanica artigianale degli operai ripresi.
Caterina Erica Shanta
Nasce a Landstuhl in Germania nel 1986. Consegue la laurea triennale in Arti visive e dello spettacolo e, proseguendo gli studi per la laurea magistrale in Arti Visive presso l'università IUAV di Venezia, realizza due documentari (è troppo vicino per mettere a fuoco, con Valeria Marchesini, 2012; Nel mio riflesso il tuo movimento, con Dalila Missero, 2013). Con questi viene selezionata in diversi concorsi tra cui il Ca' Foscari International Short Film Festival, Euganea Film Festival e Documentamy. Da allora, attraverso una ricerca d'archivio e tradizioni orali, cerca di indagare la capacità delle immagini nel costituire Storia, memoria e ricordi. Per la Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia realizza Sogni (2015), un documentario sulla seconda guerra mondiale a Venezia. Con questo l'artista ha voluto indagare quella particolare realtà cinematografica che si è venuta a costituire nei padiglioni dei giardini della Biennale tra il 1943 ed il 1945. Il "cinevillaggio" veneziano incarnava il sogno cinematografico della Repubblica di Salò mentre fuori, nelle isole ed in terraferma, c'erano la guerra, gli allarmi antiaerei, i bombardamenti.
Il documentario per Caterina è lo strumento privilegiato per indagare i linguaggi del cinema e dell'arte, con approccio critico rispetto la visibilità dei materiali, di come essi divengano filtro rispetto alla percezione del reale e la sua manipolazione.
Continua inoltre la sua esperienza critica scrivendo per portali di cinema e arti visive.
Graziano Meneghin e Jacopo Trabona per Another second skin, fingono il ritrovamento di “The Black Square” di Jack Milanese, romanzo di fantascienza fittizio da loro scritto rispettando le caratteristiche che erano tipiche del genere nel 1967 (anno in cui ne immaginano aver avuto luogo la pubblicazione) e producono una serie di artefatti in diversi media che ne attestino l’esistenza e la riscoperta negli anni successivi.
Nel romanzo il protagonista dopo aver trascorso diverso tempo in una grotta, cercando di imparare a “dipingere il buio attraverso il buio”, esce e trova una New York sommersa da uno strato di Vanta Black, un materiale nero che la rende bidimensionale agli occhi della gente. Questo fenomeno è dovuto ad un cataclisma ambientale che porta alla produzione di piccoli detriti di polvere nera. In qualità di artista abituato al buio, riesce a vedere quello che gli abitanti della terra non riescono più a vedere, la seconda pelle della realtà che alla fine è la realtà stessa.
Nello specifico, elementi direttamente ispirati alla trama come la Macchina per vedere ciò che c’è – strumento utilizzato dal protagonista che in mostra prende la forma di un modellino componibile uscito in edicola nel 2000 – sono affiancati da altri, come la pagina Wikipedia dell’autore, che esemplificano eventi verificatisi al di fuori del guscio narrativo, ma all’interno di quello della storia recente.
Graziano Meneghin e Jacopo Trabona
Sono nati rispettivamente nel 1982 e nel 1989. Mentre la pratica di Trabona indaga la relazione che esiste tra astrazione e realtà, segno e significazione, con importanti riferimenti all'oggettualità contemporanea, Meneghin, nelle sue performance, connette diversi topoi presenti nel proprio lavoro, quali il limite, l'errore, la delega, l'apprendimento e il fallimento. Dopo aver partecipato individualmente a diverse esposizioni di livello internazionale (si ricorda in tal senso la partecipazione di Meneghin, borsista alla 97ma Collettiva Giovani Artisti Bevilacqua la Masa, ad Art Stays 2013 a Ptuj in Slovenia, e di Trabona a Yicca, presso la Factory Art Gallery di Berlino nel 2011, e a Open Cube, presso White Cube a Londra nel 2013) decidono di unire i propri percorsi in Tutto ciò che qui c’è, lo si può trovare anche altrove; ma ciò che qui non si trova, non esiste in nessun luogo, un progetto dove costruiscono una serie di simulazioni di mostre legate alla codifica dei diversi stilemi dell'arte contemporanea. L’utilizzo di figure fittizie, impersonate da artisti immaginari che agiscono all’interno del loro studio, diviene mezzo per elaborare una narrativa personale che, in maniera parassitaria, riformulare presupposti teorici e formali già strutturalmente consolidati.
Veduta dell'allestimento.
Foto di Spela Volcic
Veduta dell'allestimento.
Foto di Spela Volcic
Veduta dell'allestimento.
Foto di Spela Volcic
Veduta dell'allestimento.
Foto di Spela Volcic
Veduta dell'allestimento.
Foto di Spela Volcic
Veduta dell'allestimento.
Foto di Spela Volcic
Veduta dell'allestimento.
Foto di Spela Volcic
Veduta dell'allestimento.
Foto di Spela Volcic
Veduta dell'allestimento.
Foto di Spela Volcic
“The Black Square” di Jack Milanese, copertina
Veduta dell'allestimento.
Foto di Alessandro Morana
Veduta dell'allestimento.
Foto di Alessandro Morana
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